Il fenomeno delle mini farming inizia a spopolare nelle megalopoli. Questa sperimentazione è fondamentale perché potrebbe rappresentare una risposta alle sfide che abbiamo davanti. Dal momento in cui le proiezioni al 2050 parlano di:
Bisognerà aumentare del 25% la produzione di cibo.
Singapore è un caso esemplare; ha una delle densità di popolazione tra le più alte al mondo, circa 6.500 persone per km quadrato. Il governo deve fare in modo che la città resti vivibile. La conformazione del Paese fa sì che la terra scarseggi e conseguentemente c’è un’elevata dipendenza dall’importazione di cibo.
L’agricoltura urbana sta diventando la normalità. Le aree residenziali, così come quelle commerciali, stanno dedicando spazi all’agricoltura urbana. Tutto ciò offre una risposta alla necessità di produrre cibo in modo alternativo e diventa una soluzione pratica per qualsiasi famiglia. In ultimo tutela il mondo della ristorazione.
Edible Garden City è una società di consulenza di Singapore che opera nel campo dell’agricoltura urbana. Negli ultimi 7 anni ha costruito 200 mini farming in zone urbane sfruttando: tetti dei ristoranti, scuole, residenze e ogni spazio che si possa adattare ad un giardino. Ogni quadrato verde da ornamentale diventa una piccola fattoria di verdura o frutta.
Ad esempio Noka, importante ristorante locale, sotto la supervisione ha creato un mini farm sul suo tetto, coltivando alcuni degli ingredienti utilizzati poi nella loro cucina. Questo progetto non è solo bello e futuristico ma altamente produttivo infatti esalta:
– l’importanza dell’autosufficienza alimentare,
– la tracciabilità dei prodotti,
– l’uso di spazi pubblici,
– la maggiore vivibilità delle città, grazie all’impatto delle aree verdi.
Mini farming in Europa
Il CAP – “Common Agricultural Policy”, ossia Politica Agricola Comune – supporta circa 10 milioni di aziende agricole dell’EU. Sono circa 22 milioni le persone che lavorano in questo settore. Il modo di concepire l’agricoltura è in costante evoluzione soprattutto grazie la nuova generazione di agricoltori.
Il settore ha deciso di intraprendere questo cammino lavorando su superfici relativamente piccole: dagli 0,01 ai 5 ettari. Spesso di tratta di policolture che arrivano a produrre fino a 100 varietà diverse nell’arco di un anno. Queste micro fattorie biologiche stanno dando risultati positivi e, cosa ancor più importante, sono sostenibili sia dal punto di vista ambientale che economico. Inoltre, esse hanno anche un impatto positivo sulla comunità locale.
Illustrare la nostra vision e la nostra mission è il miglior manifesto per chiarire come già abbiamo abbracciato questo progetto, ponendoci all’avanguardia e avendo già colto i problemi e le sfide che il futuro può presentarci. “La nostra mission è ridare all’agricoltura la naturalezza e la redditività di cui ha bisogno. Utilizzando la tecnologia acquaponica e creando un ecosistema organico in simbiosi tra pesci e piante, otteniamo l’agricoltura più redditizia esistente. La tecnica di coltivazione Acquaponica è riconosciuta della Commissione europea come il futuro dell’orticultura comunitaria.
Con il nostro modello di business, miglioriamo il migliorabile, abbattendo costi, che oggi sono rappresentati per ben oltre il 70% dalla rivendita e dalla logistica, creando l’interazione tra l’agricoltore ed il cliente Un rapporto diretto e tecnologico tra produttore e consumatore tramite la possibilità di scegliere (sovranità alimentare) da un catalogo di biodiversità, cosa farsi coltivare (agricoltura su richiesta).
Cerchiamo agricoltori che vogliano cambiare, migliorarsi innovandosi in modo naturale utilizzando l’ecosistema organico per soddisfare la domanda dal mercato, con un piano di coltivazione on demand della biodiversità esistente.
Continuiamo nella nostra mission dando la possibilità agli agricoltori di coltivare in urban farms, recuperando capannoni industriali dismessi, su tetti o in serra.”
Gli orti urbani, per quanto sembri essere una tendenza contemporanea, affondano le loro radici nell’Ottocento, quando moltissimi contadini si trasferirono in città. A quei tempi erano una soluzione per soddisfare il primo vero boom demografico e il sovraffollamento delle città. Un secondo rilancio della pratica dell’agricoltura urbana fu nel secondo dopoguerra, quando i ceti meno abbienti si trovarono in una situazione di forte disagio economico. Oggi siamo entrati pienamente nella terza fase in cui le città vengono “invase” dagli orti urbani.
I vantaggi che offrono sono diversi, sia ambientali, che sociali e urbani. Da un punto di vista ambientale, l’agricoltura urbana permette di tutelare la biodiversità agricola e favorisce la filiera agroalimentare corta e senza l’uso di pesticidi. Inoltre, favoriscono il riciclo dei rifiuti organici, utilizzati come concimi, e come tutte le aree verdi migliorano il microclima locale e combattono fenomeni come l’effetto isola di calore. Molto spesso, questi orti sono gestiti da associazioni impegnate in progetti sociali per la comunità locale.
Coltivare un orto urbano favorisce innanzitutto la socialità e in questo momento è plus da non sottovalutare. Un dato interessante ci viene offerto dalla ricerca del team di SustUrbanFoods dell’Università di Bologna. Il dato emerso è eclatante: grazie ad un piccolo orto, 10-20 metri quadrati, è possibile produrre un buon numero di ortaggi tale da soddisfare il fabbisogno annuo di una persona.
Altro studio del team riguarda un orto domestico di circa 30 metri quadrati situato a Padova. La ricerca ha osservato 21 cicli di raccolto valutando numerosi aspetti tra cui l’uso dell’acqua, di fertilizzanti e pesticidi, oltre ai materiali utilizzati e alle tipologie di coltivazioni impiegate. Dall’analisi è emerso che alcune specie vegetali come pomodori e melanzane sono l’opzione più ecosostenibile da adottare.
Indubbiamente si riscontrano solo grandi vantaggi dall’utilizzo delle mini farming.
Nell’ultimo decennio, a partire dai grandi centri urbani, diverse associazioni hanno in vari modi spinto per lo sviluppo sostenibile delle città e per un nuovo stile di vita sano e rispettoso dell’ambiente. La regione con più orti urbani, secondo l’Istat, dati ’17 era l’Emilia Romagna, seguita dalla Lombardia e dalla Toscana. Spesso il terreno è di proprietà del Comune, che emana dei bandi aperti a tutti. Le mini farming diventano un modo per restituire ai cittadini pezzi di città.
Esempi virtuosi si trovano per esempio a Firenze, dove dal 2013 sorge un orto sociale su una vecchia pista di atletica nella zona di Borgo Pitti. Bologna, invece, ospita l’orto più grande d’Italia, a Borgo Panigale. In pochi anni l’orto è cresciuto fino a servire 150 famiglie e dare occupazione ad una decina di ragazzi.
Rovereto, in provincia di Trento, ha avviato dal 2016 un progetto: Comun’Orto. Si possono coltivare ortaggi, ma anche frequentare corsi, rilassarsi nell’area verde, sorseggiare un drink, costruire aiuole fiorite. Muoviamoci verso ovest e arriviamo a Torino; lo sviluppo dell’agricoltura nel territorio urbano conta più di 2.000.000 metri quadrati di aree agricoli e orti disponibili.
Anche Roma si è dedicata all’orticoltura: secondo i dati di una pubblicazione ENEA nella Capitale le aree verdi sono tra le più grandi d’Europa, con 43.000 ettari di verde su 129.000 ettari totali. Si contano circa 150 orti urbani ufficialmente censiti. Andando ancora più a sud il progetto di Napoli, l’Orto Urbano della Salute e del Benessere Ponticelli. Il Centro Lilliput, a capo del progetto, aiuta i ragazzi con problemi di dipendenza nel percorso di recupero.
Per approfondire i temi trattati: