La biodiversità è la varietà degli organismi viventi da sempre presenti sulla terra. Ciò vuol dire che l’uomo è arrivato poi, e il nostro compito è stato quello di doverci integrare in questo sistema. Se inizialmente avevamo solo la capacità di “sopravvivere” all’interno di qualcosa di così complesso, piano piano abbiamo iniziato a conoscerlo. Il passaggio fondamentale è avvenuto nel momento in cui ci siamo trasformati in “homo Oeconomicus”, mettendo però in pericolo la biodiversità.
L’economia, la ricerca di benessere e la civilizzazione sempre più spinta hanno iniziato a mettere in pericolo la biodiversità; il modello culturale che si è imposto, ha messo al centro il concetto di impresa e di mercato e messo ai margini il capitale naturale, sfruttando in maniera eccessiva suolo, aria e acqua.
Il sistema economico inizia adesso ad essere messo in discussione. Se abitiamo un Pianeta del quale consumiamo tre volte tanto le risorse disponibili in un singolo anno, vuol dire che la situazione sta degenerando rapidamente. La bocciatura è ormai totale, senza possibilità di riparazione; enti di Ricerca e studiosi che, rimettendo nei conti economici la valuta del capitale naturale, si stanno accorgendo quanto è costato (e quanto costerà ancora) all’umanità e al pianeta Terra aver perpetrato per oltre cento anni un modello economico così scriteriato.
A trasformare questo ragionamento da ipotetico a pratico ci ha pensato un gruppo di studiosi presieduti da sir Robert Watson – presidente della Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES). I costi non considerati e la perdita di biodiversità, legata al nostro modo di fare economia, costa più di una volta e mezza il Prodotto interno lordo (PIL) mondiale, per una cifra che raggiunge i 145.000 miliardi di dollari l’anno.
In termini non economici: nei prossimi decenni potrebbe scomparire almeno un milione di specie viventi su 8 milioni, ovvero una perdita del 15% della biodiversità. Ovvio non è un’estinzione di massa, ma comunque inaccettabile. Sempre secondo l’IPBES, negli ultimi 50 anni, l’intervento umano ha trasformato significativamente il 75% della superficie delle terre emerse, ha provocato impatti cumulativi per il 66% delle aree oceaniche ed ha distrutto l’85% delle zone umide.
E’ il caso di approfondire le problematiche di casa nostra. l’ISPRA – Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale- ha valutato i danni provocati dalla perdita di biodiversità. I costi, così stimati, vanno ben oltre i 10 miliardi di euro per i danni provocati finora dalla perdita di biodiversità. Ricordiamo a tal proposito che il PIL dell’Italia si aggira su una cifra intorno ai 2000 miliardi euro (dato 2018). Il ritmo è incalzante da 100 a 1000 volte superiore a quello registrato in epoca pre-umana.
Un caso su tutti è quello dell’uso di insetticidi, diserbanti, fertilizzanti di sintesi, ecc. Il loro uso incide sia sulle risorse naturali (come quelle necessarie per la produzione di alcuni concimi chimici) che sulle popolazioni di insetti, uccelli, mammiferi, rettili, anfibi ed organismi vari. La loro diminuzione o addirittura scomparsa in alcuni casi, stanno provocando danni incommensurabili. Basta leggere i dati rilasciati dal wwf riguardo la biodiversità per capire quanto la situazione si stia facendo problematica.
A questo aggiungiamo la perdita costante della fertilità dei suoli, della loro consistenza e la diminuzione della biodiversità agricola, preservata dalla saggezza dei vecchi contadini, che tanto lavoro hanno fatto per difenderla. Non vogliamo essere catastrofici, ma stiamo perdendo risorse economiche, naturali ed esperienziali.
Ed è proprio in questo contesto che noi vogliamo inserirci. Proponendo un’agricoltura in acquaponica e la rivalutazione dei semi antichi cerchiamo di preservare ambiente e biodiversità. Con i nostri impianti tuteliamo sia le risorse idriche le specie animali coinvolte in questo processo. E’ questo il nostro metodo principale per tutalare la biodiversità da tutti i pericoli fin ora descritti. Leggi Acquaponica
“Arginare la perdita di biodiversità deve diventare una priorità nelle agende dei governi mondiali”. È quanto afferma Slow Food, commentando il primo rapporto pubblicato dallo FAO sullo stato della biodiversità secondo cui, senza troppi giri di parole, siamo vicini al collasso dell’intero sistema di produzione alimentare. “Sono trent’anni ormai che Slow Food denuncia questi pericoli. Oggi la situazione, lentamente, sta cambiando grazie la sensibilità e la cultura delle persone. “Bisogna sperare di essere ancora in tempo per evitare questa estinzione di massa ma abbiamo bisogno dell’impegno di tutti, non solo della Fao e di Slow Food, ma di tutta la gente di buona volontà”, commenta Piero Sardo presidente della Fondazione Biodiversità Onlus.
Il rapporto delle Nazioni Unite sulla biodiversità spiega che “fino ad un milione di specie vegetali ed animali è a rischio estinzione, a causa dell’uomo. Prosegue affermando: “È l’inizio della Sesta estinzione di massa, la prima attribuibile all’uomo”
La scomparsa della biodiversità avrà ovviamente un impatto diretto su ogni singolo individuo. Dal cibo all’energia passando per la produzione di farmaci: ogni singola attività “brucia” biodiversità. Questo non vuol dire non mangiare o non curarsi, ma prestare massima attenzione ad ogni comportamento perché non possiamo dimenticare un dato inconfutabile, la maggior parte di tali materie prime non è sostituibile.
La Sesta estinzione di massa, sarà la prima dipesa esclusivamente dall’uomo. Le Nazioni Unite, nel report legato alla biodiversità, riflettono sulla situazione attuale. Più di due miliardi di persone dipendono dal legno per la produzione di energia, quattro miliardi si curano con medicinali naturali e il 75 per cento delle colture necessita di essere impollinato dagli insetti. Tutto ciò alla lunga, sarà di gestione sempre più difficile. I principali responsabili della perdita di biodiversità sono i metodi di sfruttamento delle terre e quelli delle risorse naturali (a partire da pesca e caccia).
Chiudiamo con l’ultimo allarmante monito delle Nazioni Unite: “hanno – gli uomini ndr – già alterato gravemente tre quarti delle superfici terrestri, il 40 per cento degli ecosistemi marini e la metà di quelli di acqua dolce”
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