3 marzo, Netlflix rilascia un documentario sui temi della scienza e della natura. 1 ora e 30 minuti di visione attorno ai quali si apre un intenso dibattito: il caso seaspiracy. Ogni visione pubblicata sul servizio di streaming inizia con una breve anteprima e con la descrizione delle caratteristiche distintive; in quest’occasione il documentario viene raccontato come: controverso, investigativo e provocatorio. Il pay off attira subito la nostra attenzione, esiste la pesca sostenibile?
Ali Tabrizi, un ventisettenne britannico appassionato di oceani, ha impiegato cinque anni per assemblare le riprese passando dalla Scozia al Giappone, dalla Thailandia ad Hong Kong. Il suo obiettivo era mettere sotto accusa la pesca illegale puntando fortemente il dito anche verso l’industria ittica legale.
Due settimane prima dell’uscita il portare lifegate scriveva: “ L’oceano, culla e polmone della vita sulla Terra, è l’habitat più vasto e prezioso del nostro ecosistema… Noi, lo stiamo condannando a morte, inquinandolo e depredandolo senza misura.” Prendendo poi in prestito le parole del regista, l’enfasi raggiunge il suo apice: “ Questo film trasformerà radicalmente il modo in cui pensiamo e agiamo sulla conservazione degli oceani, per sempre. È ora che concentriamo le nostre preoccupazioni ecologiche ed etiche sui nostri mari e sui suoi abitanti. Questa è una nuova era per il modo in cui trattiamo l’habitat più importante della terra.”
Risultato di anni di ricerche e di indagini (condotte anche a rischio della propria vita), il film mostra quali proporzioni ha raggiunto il nostro impatto sugli oceani. Tabrizi vuole raccontare la cospirazione che esiste dietro la pesca nel mondo, arrivando ad una conclusione: quanto sia poco sostenibile sfruttare in questo modo le risorse marine senza rispettare le regole prefissate. L’efficacia del filmato è rafforzata dall’espediente di ritrovare Tabrizi nella duplice veste di regista e voce narrante. Questa strategia ha infuso un’indubbia efficacia e in mostri paesi è stato un successo in numero di visualizzazioni.
Le premesse per avvicinarsi a questa visione con interesse, preoccupazione e spirito critico ci sono tutte. Le basi non sono poi così infondate, infatti le teorie raccontate in Seaspiracy riprendono studi di una quindicina di anni fa. Nel 2004, Charles Clover nella sua opera “Allarme pesce” – tradotto da Ponte alle Grazie- porta avanti tesi simili sull’estinzione di molti pesci e sulla difficoltà di ricostituzione delle riserve ittiche. Nel libro l’accusa più pesante è nuovamente rivolta all’industria ittica che starebbe provocando più danni dell’inquinamento stesso.
Sicuramente seaspiracy ha portato a galla alcune scomode verità; le catture accidentali di pesci e altri organismi marini pescati senza volerlo, assieme alla specie bersaglio rappresentano un problema. Alcuni dati affermano infatti che il 40% del pescato mondiale è inutilizzato, sprecato o addirittura non viene nemmeno conteggiato. Spesso le catture accidentali vengono rigettate in mare ma sopravvivono raramente a causa della mancanza di ossigeno o del trauma subito.
Spesso si ritiene che il pesce da allevamento abbia un impatto ambientale minore rispetto al pescato in mare, non essendo stato sottratto dalla popolazione selvatica. Il problema è che il loro mangime spesso altro non è che pesce di cattura. Alcuni esperti intervistati nel film definiscono l’itticoltura in termini di “pesca selvatica camuffata”.
Le reti e le attrezzature da pesca rappresentano una quantità importante dei rifiuti di plastica che si trovano dispersi negli oceani e formano il 46% del Great Pacific Garbage Patch (una superficie enorme creatasi a causa della convergenza dei rifiuti) a nord dell’Oceano Pacifico. Inoltre queste costituiscono un pericolo immane per la fauna marina che rimane spesso intrappolata.
Per questi motivi, Tabrizi sostiene che da un punto di vista etico e ambientale non è più possibile continuare a consumare pesce
Le accuse sono forti. Le tematiche toccate profonde. Non solo natura e sostenibilità, ma un intero comparto di produzione; industrie tirate in ballo, giro di denaro; inchieste che a catena arrivano a toccare ogni parte del globo terracqueo.
Rivista studio, senza troppi giri di parole apre il proprio articolo con quest’occhiello: “ Il lavoro di Ali Tabrizi, non si preoccupa di verificare le informazioni e ha il solo scopo di far credere allo spettatore di essere vittima di una cospirazione. Continua con il carico da novanta: … Seaspiracy non vuole informarci…vuole trasformarci”.
Ma perché a qualche mese dall’uscita del docufilm riaprire un polverone? Perché è proprio di queste ore un articolo di Repubblica redatto in collaborazione, fra gli altri, con la stazione zoologia Anton Dohrn di Napoli. Ovviamente la comunità scientifica internazionale ha protestato per quanto narrato in quest’ora e mezza. Voci si sono levate anche dal bel Paese: “Ci sono delle diverse verità ma gli argomenti trattati sono molto più complessi. Il quadro che emerge dal documentario risulta parziale, le aree marine che funzionano male per esempio ci sono ma non si possono tralasciare quelle che svolgono bene il lavoro. Aggiunge Carlotta Mazzoldi esperta in biologia marina dell’università di Padova: “Non tiene conto – il documentario ndr – di molte componenti sociali ed economiche legate alla pesca e non tiene conto di una pesca più sostenibile. Possibilità che sta dando i suoi frutti per il recupero delle popolazioni in diverse aree del mondo”
Tutto il lavoro che quindi il mondo della scienza e della ricerche sta attuando per salvaguarda gli oceani viene non considerato. “Secondo me fa una grossa confusione tra impatto e sostenibilità”, afferma Alessandro Lucchetti ricercatore dell’Irbim Cnr parlando di Seaspiracy,
Sicuramente le discussioni non si placheranno nel breve. L’argomento è troppo vasto e importante per far sì che tutto venga messo nel dimenticatoio. Tabrizi ha aperto il vaso di pandora. Il nostro consiglio è di guardare con attenzione il docufilm, cercando di raccogliere più informazioni possibili sul tema della tutela e salvaguardia dei mari. Ognuno di noi, può e deve sempre fare qualcosa per rispettare e migliorare la situazione ambientale.
Noi come Agricoltura2punto0 abbiamo molto a cuore queste tematiche e quando proponiamo di lavorare in acquaponica siamo coscienti di quello che facciamo, mettendo sempre l’ambiente al primo posto. Non solo, attraverso il nostro ciclo dell’azoto rispettiamo anche la fauna ittica. Siamo orgogliosi del lavoro che facciamo e vogliamo porci come esempio da seguire per la comunità.
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